Il perché delle cose

Amo la scienza perché non spiega il perché. Ti dice, invece, come: come avvengono le cose, in base a quali rapporti, ma non la ragione che ne sta dietro, cosa che semmai compete ad altre discipline che l’uomo ha inventato per la disperazione di non capirci abbastanza. 

Forse abbiamo un cervello troppo grande per fermarsi serenamente ad un certo punto e la connessa insoddisfazione ci fa arrivare fino a Dio che crea dal nulla, ai chakra e alle vite passate da redimere…

La scienza, invece, ti dice come un corpo attira un altro corpo, ma non perché. E ad un certo punto si ferma, e questo é sufficiente. Ti dice spesso “questo non lo sappiamo” e altrettanto spesso “forse questo avviene così, ma non è provato”. Ti apre al futuro nella quieta accettazione della precarietà dell’oggi.

Insomma la scienza “esatta” è molto più probabile, incompleta, provvisoria (e umana) di tante altre cose, e questo è molto bello.

Spesso poi quando sappiamo il perché poi ne siamo delusi. Ad esempio non voglio sapere perché i “Frankie goes to Hollywood’ si chiamano così: è un nome bello e non ne voglio sapere di più (e se me lo scrivete nei commenti vi banno che probabilmente la spiegazione sarebbe deludente). Non voglio sapere perché l’album “The Piper at the Gates of down” si chiama così, mi basta che abbia un nome così meraviglioso.

Di alcune parole splendide in sè, come “maestrale” o “candore” mi basta come suonano, non cerco etimologie.

L’Infinito di Leopardi è una grandiosa miniera di suggestioni, è splendido proprio in quanto allude, ispira e trascina nella dinamica dei non definiti.

Penso che se ci chiedessimo più spesso “come” piuttosto che “perché” sarebbe meglio. Al posto di “Perché vi siete lasciati?”, “come vi siete lasciati?”. Al posto di “Perché stai male?’ un semplice “Come stai?”. 

Provate. Funziona meglio. Il perché non ve lo so dire. Ma è così.