Barellaia

Sono arrivato in barellaia del Pronto Soccorso della città di V. a seguito di un trauma cranico di causa imprecisata: sulle carte dell’ospedale ci sono 2 versioni diverse del luogo del fatto e altre due me ne sono state date in reparto a voce. Ho chiamato io il 118 (visto dopo in cronologia chiamate) ma ho un buco di memoria in cui sono sparite completamente 10 ore della mia vita. Quindi no, non chiedetemelo, non so come sia successo (probabilmente una caduta con la bici pubblica all’uscita del lavoro o un “investimento”, o una caduta a piedi in stazione).

P.s. sono un po’ acciaccato ma sto bene, no fratture, niente di problematico.

La barellaia, o tecnicamente reparto di degenza breve, è la zona dove stanno, in teoria per tempo limitato, le persone arrivate in ospedale in attesa di ricovero, di visita, di dimissione. E’ un reparto di transito, tipo lo spazio a Elle della casella della prigione del Monopoly. In sostanza è formata da grandi stanzoni con postazioni essenziali, ricavate ovunque, anche nei corridoi: un letto, un respiratore per alcuni, una presa della corrente.

Le persone della barellaia:

  • Dottori strutturati

Creature mitologiche, compaiono e spariscono, non esistono in sé e per sé in un concetto fisico-euclideo di spazio e tempo ma fluttuano nella terza dimensione della relatività. Sono delle pulsar, cherubini saettanti come i camerieri al cenone della vigilia di Natale: parlano ma difficilmente sentono, sono sintetici ma mai completi, diretti ma assolutamente non definitivi. Ruotano ogni tot ore e quello che arriverà dopo, probabilmente dirà qualcosa di diverso da quello che ti ha visitato prima.

Sono divinità evocate da tutti, pazienti, parenti, infermieri, oss: i pazienti, in sindrome di astinenza prolungata, li desiderano con ardore; Oss e infermieri li utilizzano per prendere tempo e passare oltre “Poi passa il medico a visitarla”, “Poi lo chiede al medico”, “Tra poco c’è il giro visite” (e sono le 3 e 30 di notte).

  • Dottori specializzandi

Dichiarano, a differenza dei medici, di essere medici (“Sono il suo medico”). Si attardano, a loro rischio e pericolo, ai letti, facendo misurazioni, domande, valutazioni. Sono giovani, a volte non italiani, spesso si muovono da soli e qualche volta al seguito dei medici strutturati. Con essi condividono la vaghezza, la genericità e l’uso sintatticamente mirabile delle ipotetiche della possibilità.

  • Infermieri

Spesso portano una felpa anche se fa molto caldo, possiedono la rapidità dei medici, il multiverso che li fa comparire da dietro uscendo da davanti. Non mi stupirei se di notte portassero fuori l’umido volando o si fermassero alle postazioni di ricarica rapida delle auto elettriche per riavviare le loro batterie al litio. Inizialmente fai fatica a distinguerli dagli Oss, poi capisci che i colori raccontano i ruoli e li distingui. Loro sono bianchi o bianchi con felpa, tranne i caposala, o forse i bianchi con felpa sono quelli delle cooperative, gli infermieri colorati gli stabili, difficile a capirsi, non ti dicono mai chi sono, tendenzialmente sono afoni o sibilanti o al massimo consonanti.

Agiscono e vanno: potrebbero essere stati in un’altra vita sicari letali al soldo dell’imperatore del Giappone.

  • Oss

Figure apparentemente secondarie ma in verità motore del reparto che di notte possono diventare i ras del quartiere (nel bene e nel male). Fanno il lavoro sporco, in tutti i sensi, e sono quelli che meno possono scappare ai pazienti e per questo quelli più soggetti a born out.

Hanno vestiti coloratissimi, accenti spesso meridionali, hanno il potere di accettare o meno di portarti in bagno, darti l’acqua, metterti il pannolone, darti la paperella, cambiare il letto.

  • Personale delle pulizie

Dai vari accenti dell’est e sudamericani, un’isola caciarona e di allegria in un clima costantemente teso.

Le cose che ho visto in barellaia:

  • Tanta fragilità, tanti anziani con forme più o meno gravi di Alzheimer che per ore chiamano parenti, vivi o morti, un misto di malattie condensate in uno stanzone con il ragazzetto in over psicotropo, la signora con mano fratturata, l’anziano moribondo…
  • Personale che cerca di cavarsela, qualcuno palesemente andato di nervi che tratta schifosamente i pazienti, permettendosi anche di prenderli in giro o di essere molto oltre il limite del brusco, qualcun altro che invece resta sia professionale che umano e una maggioranza che cerca di starci dentro, magari non del tutto empatico e umano, ma in modi diversi presente e che dà comunque un grande servizio di cui ringraziare, in condizioni per nulla semplici.
  • Svariate forme di tosse sonoramente coreografiche, dalla versione Shrek a quella piopio.
  • Il terribile purè, ancora lo stesso di sempre, con gli stessi grumi e la consistenza dell’isolante Bostik per fessure.
  • Una vecchina chiedermi la mano per ore.
  • Una seconda vecchina collassarmi accanto.

Le cose che ho imparato in barellaia:

  • I colori sono tenui, pastello, dal rosa confetto al lillino: pare serva per la pace interiore (una flebo di “sostanza terapeutica” non meglio definita nel mio caso ha agito meglio).
  • I letti sono cortissimi, io sono 1,80 e mi spuntava un pezzo di testa: non pensate di stare male se siete molto alti.
  • Impossibile dormire: quand’anche, nonostante il caos e le luci sempre accese, ti appisolassi sarebbe l’unico momento in cui qualcuno ti verrebbe a dire che il giorno dopo dovrai fare l’esame X alla ora Y (esame che poi non farai).
  • Il tempo diventa lungo, lunghissimo, capisci che esistono veramente le 5 e 37 e le 4 e 29, orari che hai sempre pensato fossero finti.
  • Ma soprattutto. Ho capito che l’esistenza va curata, il tempo è finito, l’illusione di ogni giorno che finge che siamo eterni è facilmente smascherabile con un piccolo incidente e i problemi quotidiani sono spesso stupidaggini. La barellaia è una grande occasione di spostare il faro dell’attenzione verso cose più importanti e resterà, spero, una nuova occasione di evoluzione.

Non lo rifarei ovviamente e non lo auguro, però grazie barellaia e grazie alle tue persone della cura che mi hai dato.