Cammino

Per un lungo tempo ho dormito senza alcun problema: mettevo giù la testa e via filato fino al mattino successivo.

Qualche anno fa, forse in corrispondenza di alcune “piccole” rogne della vita, forse per il camminare dell’orologio biologico, forse per caso, ho iniziato a svegliarmi presto, molto presto. Così, quasi naturalmente, ho iniziato ad andare al lago o nei boschi a camminare.

Ho sempre fatto sport, seppur in maniera non sistematica: basket, rugby, tennis, corsa. Il cammino però ha introdotto un elemento che potrei chiamare “spirituale”, se ormai la parola non fosse un po’ abusata e traviata. Nel mio ultimo giro, nella mia testa ero convinto di camminare su un sentiero del monte San Quello invece ero sul monte San Quell’altro. I monti d’Italia hanno spesso questi nomi di santi ma ce ne sono 4 o 5 che tornano sempre. Di monti San Michele, San Giacomo, San Giorgio ne esistono anche doppi o tripli per provincia o per regione.

Quindi arrivato a un quarto del sentiero mi accorgo di entrare in Svizzera, pensando di essere da un’altra parte in Italia: me ne accorgo dal cartello ambiguo ‘Bandita di caccia” e dai segna sentiero gialli con gli omini. Spesso in Svizzera ci sono solo quelli e ti devi un attimo arrangiare (o avere una traccia GPS, se non avessi dietro GPS e mappe nel telefono con il mio mix di distrazione e disorientamento sarei già sepolto nelle grotte dei Camuni, tra una pittura rupestre e una nicchia dove amanti occasionali hanno lasciato inequivocabili tracce).

Salgo a lungo, poi prendo per un anello che si interrompe per sentiero chiuso, devo tornare indietro rifacendo 300 metri di dislivello dopo averne fatti 800, riprendendo la strada e pensando che comunque va bene così: c’è sempre una strada sbagliata, un bivio saltato, un piccolo imprevisto per cui quello che cammini non è mai quello che avevi progettato. E questo mi rincuora.

Sul cammino si genera quella cosa avvicinabile al concetto di libertà come compresenza di possibilità: il Possibile di Kierkegaard è una sensazione pratica mentre percorri una strada che non conosci, la riprogrammi, la rivisiti al momento per i cacciatori o una chiusura o perché la traccia di wikiloc inserita 7 anni fa finisce nella cantina di un signore tozzo con al balcone la bandiera sarda dei quattro mori.

Oppure vedi che c’è il lago e fai il bagno, o un paese dove non sei mai passato con un nome divertente tipo Bedero Valcuvia. E cambi, e ci vai.

Oppure pensi di tornare in treno ma finisci nella zona industriale di Stabio e ti perdi e “vabbè torno a piedi”. Oppure pensi di tornare in autobus ma il primo passa alle 7 del giorno dopo e “vabbè torno a piedi”. Oppure conosci la coppia di Lecco che ti chiede se il sentiero è giusto (a quello giusto chiedete…) e poi finisce che fai la strada con loro, che non era la tua che volevi fare, ma va bene così.

In cammino, soprattutto, si sperimenta quella forma di pensiero non circolare e ricorsiva (i tecnicamente chiamati “pensieri autostronzi” che spesso abbondano nel quotidiano): il pensiero si raddrizza, diventa lineare, luminoso piuttosto che lucido.

La musica nelle cuffie aiuta, la frequenza e le endorfine anche, ma probabilmente è la psiche che si ammorbidisce passando dall’anima iper razionale verso qualcosa di più sereno.

Sono un blando agnostico, non credo al karma, alle anime, al sitar e a Yogananda. Però penso di avere una mia spiritualità e una mia personale religiosità in cui rientrano, tra altre cose, l’estetica, la natura, Nick Cave, Sergio Parisse e questa strana sensazione di armonica Possibilità che c’è nel cammino.

Qualcosa di vicino forse ad una forma di libertà non teorica ma pratica, non libresca e giuridica ma, appunto, spirituale.